Non abituiamoci alla morte


Charlie Hebdo, Bataclan, Dacca, aeroporto Bruxelles, Sousse, Ankara, museo Tunisia, aeroporto Istanbul, Nizza, per non parlare dei kamikaze che si sono fatti saltare in aria in Nigeria, Yemen, Iraq, Afghanistan, Libano. Questo elenco non finisce mai. Il numero dei feriti e dei morti è altissimo, fare un calcolo non sarebbe neanche facile. Il numero dei morti parla da solo. Ma questo è l'errore che non dobbiamo fare: considerare le persone, le vittime, solo come un mero numero. Una cifra. Per cercare di definire l'indefinibile. Noi dobbiamo dare un volto a quei numeri, noi dobbiamo dare una storia a quei numeri. Abbiamo il dovere di conoscere tutte queste persone. Noi dobbiamo ricordarci di Adelma Tapia Ruiz, madre di due gemelle, morta nell'attentato all'aeroporto di Bruxelles. Non dimentichiamoci di Trudy Jones, turista in vacanza a Sousse, caduta sotto i colpi dei terroristi. Scolpiamoci nella mente il volto di Valeria Solesin, falciata dai kalashnikov al Bataclan di Parigi. E tutti gli altri. Riguardiamo le loro foto, rileggiamo le loro storie. Conosciamo le loro passioni, le loro paure, le loro speranze nel futuro. Rendiamo persone questi maledetti numeri. Immedesimiamoci in loro, viviamo le nostre vite anche con i loro occhi. Rendiamo umano ciò che in questo momento storico ci sembra disumano.

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